LA DOMENICA DELLE PALME E LA SETTIMANA SANTA

“Padre, se questo calice non può passare
senza che io lo beva,
sia fatta la tua volontà”
(Mt 26,42; cf. Mc 14,36; cf. Lc 22,42)

 


Con questa Domenica, detta delle Palme, ha inizio la Grande Settimana. Si chiama così perché è la settimana più importante dell’anno liturgico. Viene anche chiamata Settimana Santa, perché proprio in questi giorni si ricorda il dono di amore di Gesù per noi.
Nei giorni di giovedì, venerdì e sabato notte noi ripercorriamo tutta la storia dell’amore di Dio che si concretizza nel dono della vita di suo Figlio.
Pensiamo alla passione e morte del Signore, ma soprattutto alla sua Resurrezione. E’ questo, infatti, l’evento centrale della nostra fede.
Gli apostoli hanno capito davvero chi era Gesù proprio quando lo hanno visto risorto. Per loro, la morte del loro amico era stata vissuta come un fallimento: la resurrezione li aiuta a capire che Dio è più forte della morte ed il suo amore donato è capace di fiorire proprio come il seme nella terra. La resurrezione è la luce che ha chiarito ai discepoli la vita e le azioni di Gesù. Essi hanno finalmente riconosciuto che il loro amico con il quale avevano condiviso tante esperienze, tanti insegnamenti e tante opere di bene, era Dio.
E’ così grande questa notizia e così forte la loro gioia, che hanno sentito il bisogno di scriverla per farla conoscere anche a noi. Ecco allora i Vangeli, che non sono una cronistoria della vita di Gesù, ma sono un annuncio della salvezza operata dal Figlio di Dio partendo proprio dalla resurrezione.
Il brano di Vangelo che apre la celebrazione di questa domenica racconta l’entrata di Gesù a Gerusalemme. In questa città così importante per il popolo di Israele sono arrivate tante persone per celebrare il ricordo della loro Pasqua.
Anche Gesù si reca a Gerusalemme. La sua è proprio una scelta: tutto il viaggio della sua vita infatti è orientato a questa meta. Più volte, nei vangeli, Gesù dice ai discepoli che deve recarsi in questa città dove dovrà essere messo a morte.
I discepoli con il loro maestro sono ormai quasi arrivati ma, prima di entrarci, Egli manda i suoi amici in un villaggio vicino a prendere un’asina e il suo puledro. Una richiesta davvero strana, che ne dite?
Gesù, inoltre, istruisce i suoi dicendo loro cosa avrebbero dovuto rispondere nel caso qualcuno li avesse visti prendere questi due animali: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”.
A Gesù servono per davvero questi due animali per entrare a Gerusalemme. Proviamo a scoprire perché.
Il vangelo che oggi abbiamo letto è di Matteo. Egli scrive il suo vangelo in particolare per una comunità di Ebrei convertiti al cristianesimo. Gli ebrei conoscono bene le Sacre Scritture, soprattutto l’Antico Testamento, e per questo Matteo ne fa un continuo riferimento: per far vedere che Gesù è come Mosè, anzi più grande di Mosè, perché Lui libera il popolo da una schiavitù ancora più forte come il peccato e la morte.
Ma perché Gesù vuole entrare in Gerusalemme cavalcando un’asina e il suo puledrino?
Matteo cita un piccolo brano tratto dal profeta Zaccaria che è l’ultimo libro che troviamo nell’Antico Testamento prima dei vangeli. Il profeta Zaccaria, vissuto tanti e tanti anni prima di Gesù, parla del Messia e invita tutti ma in particolare il popolo di Gerusalemme a rallegrarsi perché il messia viene come re giusto, vittorioso e umile cavalcando un’asina e un puledro d’asina. Questo profeta Zaccaria fa un ritratto del Messia che si applica bene a Gesù.
A differenza di altri profeti che parlano del Messia, in questo profeta c’è la sottolineatura della umiltà del Messia.
Il popolo di Israele in realtà aspetta un liberatore, un condottiero, un conquistatore capace di annientare tutti i nemici e dare ad Israele una ricchezza economica e politica. Gesù non sarà niente di tutto questo!
Entra a Gerusalemme cavalcando un’asina in segno di pace ma anche in segno di saggezza: in Israele erano i sapienti, i giudici che cavalcavano gli asini ed anche i re erano soliti, in tempo di pace, usare questa cavalcatura.
Gesù da subito vuole mostrarsi un salvatore, un re di pace, di umiltà, di bontà, di amore verso tutti.
I molti pellegrini arrivati a Gerusalemme per le feste di Pasqua, vedendo Gesù, e avendo sentito parlare di lui, gli vanno incontro facendogli festa e manifestando la loro gioia con gesti e con parole.
Prendono dei rami di ulivo e stendono i loro mantelli per farlo passare sopra.
Sono segni importanti. Il mantello rappresenta la persona. È come se il popolo volesse sottomettersi a Gesù. Lui però non vuole la sottomissione, vuole l’amore!
Lo acclamano con la parola Osanna, parola ebraica che significa “Signore dacci la salvezza”, “Tu che puoi, salvaci”.
Anche noi ci uniamo alla folla dei pellegrini per gridare a Gesù il bisogno che abbiamo di Lui. Allora in questi giorni ci impegneremo a vivere con amore i misteri della nostra salvezza, che verranno celebrati il giovedì santo, il venerdì santo e notte della Resurrezione.
La gioia è proprio sapere che tutti noi siamo amati salvati e risorti insieme a Gesù. Buona Pasqua!